Tutte le retoriche e sciovinismi, ingigantimenti e sardismi, sono comprese. Un sardo che vince una delle tappe più impegnative e importanti, l’erta di Montecampione, nel Giro d’Italia. Non era mai accaduto. Ieri si ballava davanti alla tv. Di tensione, perché quei tre chilometri prima del traguardo non finivano mai. Fabio Aru da Villacidro, il “Paese d’ombre” del grande Giuseppe Dessì, aveva dato un colpo di reni e uno dietro l’altro se li era bevuti tutti i ciclisti che sono e aspirano alla maglia rosa. Un sardo, scopriremo poi che misura 1,81 di altezza, uno che ha fatto il liceo classico, uno che ancora deve compiere 24 anni.
Ma c’era forte empatia nella cronaca in diretta degli inviati Rai. Non finivano mai i tre chilometri e tutti a ballare scaramantici davanti alla tv. E la bandiera dei Quattro Mori che usciva a ogni piè sospinto. Abbiamo capito che Fabio Aru sarebbe stato il vincitore di tappa quando, a poche centinaia di metri dal traguardo uno di questi nostri vessilli con i moros bendati si è abbassata al suo passaggio. Come un’istantanea resa d’onore a cui tutti noi sardi, di qualsiasi parentela e ideologia, partecipiamo. Non è cosa da tutti i giorni. Avremmo voluto che i media nazionali, e anche quelli sardi, avessero dato titoli di scatola a questa impresa. Così non è stato. Sarà per dopo. Non è cosa di tutti i giorni che il dio umile riveli la sua vera essenza di essere compartecipe a quanto dà levità alla pesantezza dei giorni. Scalando la montagna.
Natalino Piras