Alla fine di un’estate purtroppo andata male, nello sbandierare “ Vado in Sardegna!” mi sono divertita a guardare di cosa si accendevano le pagliuzze negli occhi di chi mi stava di fronte: Costa Smeralda, Stintino, La Maddalena, spiaggette bianche, mari da sogno. Non sono riuscita a vederci nemmeno un piccolissimo villaggio nuragico, una launeddas, un antico costume…figurarsi una pecora sarda!
Mi sono guardata bene dal dire che era solo per tre giorni! Tre giorni? Pagliuzze spente. Cosa ci vai a fare per tre giorni?! Chi riuscirebbe mai a capire che tre giorni sono bastati per vivere nel mondo sardo, tra la gente sarda? Lo testimonia la frase di Julco ( un po’ annebbiato, per la verità dai fumi dell’alcool e delle sigarette): “Non voglio più tornare nel CONTINENTE!” E sono certa che per CONTINENTE intendeva quelli con le pagliuzze invidiose.
In fondo però anch’io mi ero detta più volte: vado o non vado? Me la sento di lasciare tanto mare tra me e i miei problemi, magari per finire in un paesino come tanti altri, ad una festa di paese già vissuta? Devo dire che è stata la voglia, il bisogno di Uva Grisa a farmi decidere; sapevo che partire con l’Uva Grisa era l’unico modo per non farmi sentire in colpa.
E’ quasi mezzanotte quando arriviamo nel cuore della Barbagia. Paese deserto, strade deserte. Saranno tutti tra i monti di guardia a qualche rapito? Niente paura, così conciati non ci rapirebbe nessuno! Ci rapisce, invece, e ci frastorna l’accoglienza, la voglia di conoscerci di Patrizio, Licia e Tommasina. Questa signora con gli occhi chiari avrà ormai detto cento volte “Piacere…piacere…piacere..” con un bellissimo e semplice sorriso stampato sulle labbra.
Con grosso sollievo di Aldo ( terrorizzato dal messaggio di Gualtiero “procuratevi qualche panino perché partiremo subito in pullman per Teti”) comincia un percorso culinario che finirà solo lunedì alle ore 14. Ci lascerà senza parole e ingrassati di almeno tre chili (Katia non ha ancora quantificato i giri in bicicletta necessari a smaltire e Gualtiero potrà fare solo un “mea culpa”…) Sugli strascichi del vino e dell’acquavite meglio lasciar perdere… Non ho mai visto tanta generosità, tanto amore e tanta bravura in cucina!
Provo a immaginare quelli con le pagliuzze seduti al tavolo di un qualsiasi ristorante a Stintino: rigorosamente cameriere alle spalle, vista mare e cibo, sardo sì, ma così raffinato,così come dire, rielaborato, che pecore e capre stenterebbero a riconoscervi la misera fine delle loro consorelle! Noi invece, grazie ad Anna Maria, ci deliziamo senza ritegno di polpettine di capra al sugo, inimitabile pecora in umido, ottimi sottaceti, formaggi, salami fatti in casa, spezzatino di interiora, accompagnati sempre da pomodori non conditi pronti a mitigarne il sapore. Niente affettati camerieri: Luigi, Tommasina, Licia, Patrizio ci offrono semplicemente le loro cose tra risate, canti e balli, in una sala con grandi tavoloni e sedie appiccicate: noi e loro. A dire la verità all’idea della pecora bollita con patate e cipolle qualcuno storce il naso e la pecora che gorgoglia in enormi pentoloni, le patate e le cipolle sotto il grasso che galleggia non lo aiutano a cambiare idea ( io no, mi dispiace per voi ma in Calabria ci sono abituata e ne conosco la bontà!).
Siamo qui perché è la festa di Santu Sebastianu, ma la gente dov’è? E’ un paese di 700 anime, ma sembrano tutte volate via. Al mattino si sentono solo dei cavalli che scalpitano e la saracinesca tirata su molto rumorosamente da Mario, il nostro generosissimo barista. A mezzogiorno ci sembra che il mondo graviti tutto intorno al ristorante. Ancora strade deserte e tutto fermo. Dove saranno gli abitanti di Teti? Forse pastori in transumanza? Forse solo anziani in casa? Bè (sospiro di sollievo) ecco perché è facile conservare le tradizioni!
Ma all’improvviso, come per magia, le strade si riempiono di voci e di colori: giovani, anziani, donne, bambini con i meravigliosi costumi sardi ora popolano Teti. E si parte per la processione: il ritmo cadenzato dei cavalli davanti, il gruppo di Teti subito dietro, poi l’Uva grisa, poi tutti i gruppi arrivati dai paesi vicini. Quanti! In fila ai lati della strada, i maschi da una parte, le femmine dall’altra. Lenti, nel silenzio, in un tempo scandito solo dagli zoccoli del cavallo (pensare che stanotte, proprio su questo tratto di strada, una macchina a forte velocità, quasi ci tranciava. Doveva essere uno del CONTINENTE!) Bellissimo! Unica nota stonata: noi, un po’ sgangherati, scomposti, sacrileghi, impunemente incuranti dei continui tentativi di Giuseppe di tenerci in riga. E “SU BALLU TUNDU”!!! Assaporare il vissuto di un mondo ancora immerso nella tradizione è bellissimo e nello stesso tempo ti fa male ( il ritorno tra le pagliuzze consumistiche sarà ancor più deludente).
I gruppi a turno si esibiscono sul palco. Rivedo le pagliuzze ignoranti e scontate. - I soliti gruppi folcloristici a consumo dei turisti! Non ci sono turisti. Sarà questo immenso parco solitario, sarà la chiesetta di Santu Sebastianu, saranno questi cavalli che gironzolano lasciando cacche qua e là, sarà la notte della Barbagia, ma questi gruppi giovani che si esibiscono hanno un fascino antico. Niente turisti, noi e loro. E sotto la struttura in pietra si balla, si balla,e ancora si balla. Nessuna esibizione. Un ragazzino e una ragazzina sottobraccio ballano composti; due ragazzine passeggiano ballando; forse quei due in costume…forse vogliono mostrarsi…no, sono solo impettiti e fieri, fieri nel loro costume sardo. Si uniscono tutti sottobraccio, formano grandi cerchi che si avvicinano e si allontanano. Non è il luogo, non è lo spazio,non è il momento: potrebbero essere ovunque e in qualsiasi momento. E ci coinvolgono, noi e loro. Certo un bicchierino (UNO?) di acquavite (60 gradi) rende ancora più agili le gambe di Mirco e Pierluigi, ma siamo noi, loro e il ballo sardo. E si lasciano coinvolgere nei nostri balli! Il comitato per la festa è sorpreso e soddisfatto: è difficile che la gente sarda accetti di entrare in un mondo non suo!Noi, loro, su ballu tundu , il saltarello romagnolo , la Giorgia che fa l’uomo e Pierluigi costretto a non sbagliare gli incroci.
Più immersi di così nella tradizione!
Dire che ne torniamo arricchiti è la solita frase banale, ma credo che gli sguardi commossi, i saluti di tutto un paesino della Barbagia all’apparenza fermo e solitario, ci accompagneranno per un bel po’.
Ermanna