Da tempo seguo i talk politici televisivi con la stessa passione che metterei nel seguire le corse dei cavalli. In uno di questi, circa due settimane fa, viene trasmesso un servizio simile a molti altri. Italiani all’estero, fuggiti dall’Italia per cercare fortuna. Nello stesso momento della messa in onda del servizio sono connessa su skype e un amico mi scrive: “ Non so tu, ma io mi sono strarotto di questi reportage che fanno vedere italiani che partono da qui sfigati e atterrano altrove trovando subito fortuna”.
In occasione delle ultime, ennesime elezioni politiche che ci lasciarono senza parole - ma con molte parolacce - Facebook e altri social network si riempirono di frasi rancorose come “ Italia di merda, scappo in Alaska”, “Basta! Faccio le valigie, me ne vado in Honduras”. Leggevo questi commenti, nei quali mi identificavo, ma a colpirmi maggiormente fu quello, diverso, di una ragazza. Dalle sue parole traspariva una rabbia anche maggiore, e suonava più o meno così. “ Ma voi che siete molto bravi a fare queste valigie virtuali, sapete cosa vuol dire vivere all’estero? Sapete cosa vuol dire arrivare in un paese straniero senza magari conoscere bene la lingua e mettersi alla ricerca di un lavoro? Lo sapete?”. In quell’occasione quel commento lo trovai fastidioso. Ora che ci ripenso, la mia opinione è cambiata. E a infastidirmi sono invece gli articoletti che mi ritrovo puntualmente nell’ home page di Facebook: “ In Italia vivevo sotto un ponte, a Ipswich ho trovato l’America“; “In Italia ero depressa, a Stonehenge ho ritrovato il sorriso”. E concordo anche con la frase del mio amico, condividendo la sua seccatura nei confronti di questo alto tasso di esterofilia che fa rima con faciloneria.
Il servizio televisivo a cui mi riferivo sopra, mostrava un gruppo di ragazzi seduti attorno ad un tavolo, senza però dirci cosa facessero esattamente, quali fossero le loro esperienze pregresse, esattamente come alcuni dei post che circolano sui social. Nelle sequenze successive, interviste ad un colletto bianco nel suo confortevole ufficio, capisci dalle sue parole che in luogo in questione è la sempre gettonatissima Londra e lui avanza: “ La city è presa d’assalto da immigrati italiani”.La city? Io e il mio amico, e chissà, forse quella stessa ragazza arrabbiata, abbiamo visto italiani del Nord e del Sud, come altri da mezza Europa, prendere d’assalto non la city, ma gli ostelli della gioventù -smarrita- le caffetterie e i supermercati dove ti viene richiesta esperienza per fare un caffè e battere uno scontrino alla cassa, i ristoranti italiani e indiani, le famiglie che ti chiedono di badare ai loro figli 24 ore su 24 perché loro hanno altro da fare. Li abbiamo visti perché con loro c’eravamo anche noi.
Ho visto D., con gli occhi umidi dirmi “ Ora so cosa vuol dire vivere da straniero”; ho visto G., fuggire in preda al panico in una Londra alienante e alienata come gli spazi dipinti da Edward Munch; ho sentito le parole di T., manovale, allarmarsi per l’arrivo dei rumeni e dei bulgari che faranno perder il lavoro ai polacchi come lui, perché accetteranno paghe da fame per lavorare lo stesso numero di ore. Che l’Italia versi in una situazione peggiore di altri paesi non lo nega nessuno, ed è bene che non ce lo si scordi. Ma sarebbe bello che i media, tutti, fossero un po’ più coraggiosi e onesti, perché se è vero che la Sardegna e L’Italia sono due stronze, è bene riconoscere che tutto il mondo può essere stronzo allo stesso modo.
[Maria Dore]
* Il titolo è stato aggiunto da Focusardegna