Da La Maddalena a Cagliari, da Tharros a Orosei, il turismo nostrano va ben oltre la semplice giornata al mare, e i visitatori generalmente lo sanno molto bene. Persino quest’anno, sebbene la pandemia da Covid-19 abbia cambiato l’estate di tutti noi, c’è chi non ha perso l’interesse vivo per le numerose località d’interesse culturale che la Sardegna ha da offrire al di fuori delle spiagge dall’acqua cristallina e dalla sabbia argentea. Circa un mese fa, quando l’isola ha saputo prontamente reagire alla chiusura dei mesi estivi a causa del lockdown, tra mascherine, distanziamento e disinfettante, siamo stati in un sito d’interesse culturale tra i più celebri dell’isola dove si intrecciano perfettamente memorie familiari e accadimenti storici di rilevanza nazionale: si tratta della Grande Miniera di Serbariu al Museo del Carbone (CA).
Che dire, il luogo è riuscito a farci dimenticare (almeno momentaneamente) la paura scatenata dall’attuale virus in circolazione.
Il sito minerario di Serbariu di fatto, attivo dal 1937 al 1964, ha fin dalle origini caratterizzato l’economia del Sulcis, dell’Isola e dell’intera nazione. È risaputo che il sito, così come la stessa città di Carbonia, nacque nel 1937-38 per volere del regime fascista, il quale intendeva rendere l’Italia autosufficiente, secondo il famoso principio dell’“autarchia”: tuttavia, molti sono i segreti, le fatiche, le tragedie e le efferatezze che si celano dietro uno dei lavori più duri, massacranti e pericolosi della storia della Sardegna e non solo. Basti solo pensare alle gabbie per il trasporto dei minatori: non è difficile pensare a tanti giovani uomini che venivano stipati come (e peggio degli) animali e sfruttati per una misera paga, dopo aver subito l’influsso della retorica tanto affascinante quanto intangibile e fine a sé stessa del regime fascista.
Per questi motivi, di fatto, è oggi stato ristrutturato l’intero sito per dare vita a un Museo del Carbone unico nel suo genere. Dapprima troviamo la lampisteria, entro la quale è possibile osservare l’esposizione permanente sulla storia del carbone, della miniera e di Carbonia stessa, tra numerosi attrezzi da lavoro e documenti fotografici e audiovisivi d’epoca. Successivamente, si esce all’aperto e si procede per entrare dapprima in sala argani, che conserva un enorme macchinario per il trasporto dei minatori o del carbone stesso, poi nella galleria sotterranea (adeguatamente muniti di casco anti-infortunio) attraverso ambienti fedelmente riallestiti con attrezzature dell’epoca.
Una vera e propria immersione nel passato.
I visitatori, fortunatamente, non mancano. Durante la visita è stato rigorosamente effettuato il rispetto delle norme anti-Covid, sia in interni che in esterni, ed è stato sempre e comunque possibile avvertire dei brividi che attraversavano la schiena all’udire le testimonianze, i racconti e le descrizioni di ciò a cui i lavoratori erano sottoposti, agli orari dei turni, alle condizioni igieniche, alle temperature superiori anche ai 40 gradi; difficile anche solo immaginarlo, dato che noi a malapena sopportiamo i 30.
Insomma, un turbinio di emozioni difficile da descrivere più intensamente di così, ma serve molto di più: serve una visita per conoscere, un’esperienza per ricordare e, soprattutto, un’emozione per capire.
https://www.museodelcarbone.it
Luca Mannea