Novembre 22, 2024

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    In questo momento storico che ci vede impegnati ad affrontare una crisi sanitaria, economica e sociale, dai contorni sempre più incerti, sono fondamentali 3 cose: dialogo, approfondimento, suggestione

    Per questo, abbiamo deciso di chiudere l’anno accendendo i riflettori su tutte e tre. 

    FocuSardegna avvia una nuova linea editoriale. Lo fa rimarcando ancora di più la sua identità: uno luogo di dialogo aperto alla libera partecipazione.

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    In questi giorni si registra, tra gli osservatori politici, istituzionali accademici ed economici, il quasi unanime convincimento che la sola via di uscita dalla situazione che attraversiamo presupponga un massiccio intervento finanziario pubblico in campo economico e, al tempo stesso, la momentanea sospensione di norme sui bilanci pubblici che, ormai palesemente, impediscono adeguate misure di politica economica e che, per tale ragione, dovrebbero giustificatamente essere passibili di deroghe.

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    Ci sono due modi per affrontare i problemi del turismo nell’isola.

    1) Porsi dalla parte del viaggiatore, di colui che sbarca in uno dei porti o aeroporti, che deve raggiungere la meta designata, che necessita di strade o di servizi di trasporto pubblico adeguati, che ha bisogno d’informazioni e supporti di assistenza adeguati e strutture ricettive idonee alle più disparate esigenze.

    2) Oppure porsi nei panni di chi, questo tipo di risposte, deve, prima o poi, offrirle in termini reali e tangibili, ma per questo motivo deve avere la possibilità di effettuare con una certa lungimiranza investimenti adeguati, disporre di una mano d’opera preparata, non essere oberato da diseconomie che rendono fin dall’inizio perdente qualsiasi iniziativa.

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    Ho sempre immaginato alla vita dei miei nonni come a momenti in cui la casa, il focolare domestico, per dirla come nei libri di letteratura italiana, diventava il centro del mondo. Si usciva, certo, per le faccende quotidiane, per andare in campagna a raccogliere le castagne, per trovare un parente. Ma in una suddivisione ideale dei tempi, le mura domestiche rimanevano un nido caldo dal quale allontanarsi con parsimonia. C’era chi, come nel caso dei pastori transumanti e dei venditori di “truddas e tazzeris” cantati da Montanaru, vi stava lontano per più tempo e son certa che al ritorno il desiderio di risentirne l’odore, di toccarne le pareti e gli oggetti cari fosse così forte da paventarne ogni altro di uscita. E’ facile, leggendo Grazia Deledda, visualizzarle queste case, sentirne rumori e profumi, toccarne le pareti di pietra e legno, scenderne le scale ripide, muoversi nelle corti con giardino, vederne gli abitanti impegnati nella vita di tutti i giorni. Ecco, immaginando la vita in Sardegna 50 anni fa io la vedo così: domestica nel senso di legame con la casa, gli affetti; domestica come unione e, anche, come immaginazione.

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