-Simone Tatti*-
"Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali". La relazione così prosegue: "Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell'Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".
Il testo, tratto da una relazione dell'Ispettorato per l'Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti e risalente all’Ottobre 1912, pur non essendo di confermata autenticità, rispecchia alla perfezione il sentimento diffuso all’epoca nei confronti degli immigrati italiani oltre oceano.
Siamo abituati a sentire le storie dei diversi “Zii d’America”, uomini arricchiti e vincenti, che difficilmente contempliamo il fatto che anche nel nostro passato siano esistite storie di emigrazioni difficili e travagliate. Storie di uomini disperati che hanno abbandonato a malincuore la propria terra con tante speranze e una valigia di cartone semivuota.
Il dramma di Lampedusa pone in evidenza la triste situazione vissuta da migliaia di esseri umani. Uomini e donne disposti a mettere le proprie vite nelle mani di mercanti di sogni pur di fuggire a situazioni disperate fatte di guerre, sofferenze e dittature. Una tragedia che ha origine in Africa ma che si consuma nelle coste del sud Italia sotto gli occhi indifferenti di un’Europa più attenta alle necessità della Finanza che a quelle degli Uomini.
Sono 19.142 in poco più di venticinque anni le vittime del Mediterraneo. Numeri che segnano di rosso e di vergogna le acque di questo mare. Un fenomeno che qualcuno chiama emigrazione ma che in realtà è soltanto disperazione. La sintesi di un dramma che ha oggi personaggi e luoghi diversi ma le parole e i sentimenti di cent’anni fa. La vergogna di un’Europa che guarda con freddezza e distacco alla tragedia che si consuma alle porte di casa. L’ipocrisia di una società che oggi piange e condanna e domani già dimentica.
La loro disperazione è figlia della nostra indifferenza.
*FocuSardegna