-Simone Tatti*-
Quando sentiamo parlare di flussi migratori, siamo soliti pensare, soprattutto in questo periodo, alle tristi vicende che hanno interessato il sud Italia ed in particolar modo l’isola di Lampedusa. Meno frequentemente, invece, facciamo riferimento al fenomeno migratorio inteso nella sua forma più estesa ed articolata ed in particolar modo alle problematiche che da sardi ci riguardano più da vicino.
Parlare di flussi migratori in Sardegna vuol dire anzitutto fare i conti con quell'insieme di fattori che imperturbabilmente sta andando a modificare la struttura demografica della nostra Isola fatta di piccoli paesi che si svuotano, di zone interne abbandonate e di un saldo migratorio attivo ma dai risvolti agrodolci.
Demograficamente parlando, infatti, non è certo una novità che la Sardegna assomigli sempre più ad una grossa ciambella caratterizzata da coste più densamente popolate di un entroterra in progressivo smobilitamento; caratteristica, d’altra parte, condivisa con la gran parte delle altre isole. Ciò che sorprende, tuttavia, è il progressivo disimpegno da parte dello Stato nei confronti dei territori meno popolati e di per sé già penalizzati, in un’ottica di efficientamento della spesa pubblica incentrata su logiche strettamente numerarie che mettono in secondo piano le reali esigenze delle persone, configurando pertanto una situazione nella quale molti luoghi sono privati anche dei servizi un tempo ritenuti essenziali e alimentando, di fatto, l’esodo che dai piccoli centri di campagna spinge sempre più persone a trasferirsi nelle città.
Ma non è tutto. La Sardegna, destinata secondo le stime a perdere circa 400 mila persone nei prossimi cinquant’anni, deve fare i conti con un saldo naturale della popolazione tendenzialmente negativo compensato solamente dall’attività del saldo migratorio. In altre parole, muoiono più sardi di quelli che nascono e sono gli immigrati a far sì che il numero della popolazione rimanga pressoché stabile.
Ciò che però spesso passa in secondo piano è che la Sardegna perde capitale umano professionalizzato riuscendo ad attrarre prevalentemente capitale umano deprofessionalizzato. Sono storie di ogni giorno quelle dei vari Marco, Francesca, Chiara e Andrea che dopo anni e anni passati a cercare vanamente un’occupazione, uno sbocco o una prospettiva in Sardegna scelgono di trasferirsi altrove alla ricerca di nuove opportunità.
In ognuno di questi giorni la Sardegna perde non solo alcuni dei suoi figli, ma un’occasione per crescere, svilupparsi e progredire. Un’Isola che non investe sui suoi figli più promettenti e che quindi è destinata a diventare sempre più povera.
*FocuSardegna