-Antonello Menne*-
Il tema dell’indipendentismo è ritornato attuale. Ancora una volta l’attenzione dei sardi è richiamata dalla grande questione della sovranità. La Sardegna come nazione, cioè come Stato in grado di agire nella comunità internazionale al pari di Francia, Stati Uniti, Germania e Argentina sarà la questione centrale della prossima campagna elettorale. Noi tutti sappiamo che oggi gli Stati dell’economia occidentale sono alle prese con la grave crisi della finanza pubblica: mancano i soldi per costruire ospedali e carceri, per pagare i dipendenti pubblici e gli interessi del debito. Diventare Stato sovrano significa riorganizzare la macchina burocratica e aumentare quindi i costi di gestione per sottrarli agli investimenti e al lavoro. I sardi vogliono tutto questo?
Sono, tuttavia da salutare favorevolmente tutte le proposte che mirano al rafforzamento dei poteri locali in un’ottica di sostanziale revisione dei rapporti tra Stato Centrale e la Sardegna. Peraltro, le attuali proposte di indipendentismo sono il frutto di un ragionamento molto serio e appartengono alla storia autorevole di alcune formazioni politiche dell’Isola. Con l’avvicinarsi delle elezioni l’interesse aumenta, interpellando la ragione e il sentimento di gran parte dei sardi. Occorre però non fermarsi a metà strada, occorre rispondere in modo puntuale agli interrogativi e ai dubbi che vengono sollevati. I fautori di questa nuova e legittima forma di governo sovrano non dicono infatti come, con quali risorse (anche in termini di scontro con lo Stato centrale) questo risultato potrà essere perseguito.
Non dicono quali saranno i risultati in termini di nuovo sviluppo economico, di nuovi posti di lavoro, di meno tasse per gli artigiani, per i commercianti e i lavoratori autonomi, di meno burocrazia per i cittadini e per le imprese, di maggiore semplificazione e trasparenza nella pubblica amministrazione, di minore e più produttiva spesa pubblica. E poi non è chiaro se la volontà sovranista appartenga al sentimento e alla convinzione dei sardi.A ben vedere, tutte le volte che le formazioni politiche, nelle varie sessioni dei consigli regionali, sono state chiamate a esercitare i poteri speciali nelle materie di competenza primaria, non ultima la riforma della legge elettorale regionale, non hanno fatto meglio del legislatore centralizzato. Ancora: perché cercare nuove forme di indipendentismo se non si mettono in pratica, non si sfruttano i poteri speciali di cui già si dispone? Ad esempio, al legislatore regionale non mancano i poteri e gli strumenti per migliorare la gestione della cosa pubblica. Il prof. Francesco Pigliaru, proprio in un’intervista a Focusardegna, indicava un percorso per riformare alla radice, dentro l’attuale assetto ordinamentale, la spesa pubblica regionale, rendendola più trasparente e finalizzata alla produzione di sviluppo del tessuto economico dell’Isola. Se gli strumenti sono disponibili occorre allora la volontà e l’onesta per fare quello che i sardi richiedono a gran voce.
Forse la prima grande riforma potrebbe essere quella di dare attuazione ai poteri speciali, possibilmente rimuovendo l’eccesso di centralismo regionale e ridando respiro alle autonomia locali. Per fare questo, i sardi, soprattutto quelli impegnati in politica, devono tradurre in procedure chiare e semplici tutto il loro amore per la terra e per la cultura, devono fare in modo che la loro più grande risorsa economica (l’ambiente) sia il volano della svolta, attraendo, dentro regole trasparenti, risorse e imprenditori che vogliono dare un volto nuovo alla Sardegna perché prima di tutto la amano. Devono fare in modo di trasformare quest’isola in luogo delle opportunità e della piena accoglienza, sconfiggendo l’isolamento nel quale sempre più si sta sprofondando.
Pertanto, senza considerare che oramai il 40% della sovranità appartiene all’Europa (dalla quale è difficile uscire e dove vengono prese le decisioni più importanti, ad es. in materia di consumatori), insieme al dibattito sulle nuove forme di ordinamento , occorre avviare una nuova e straordinaria azione strategica, che coinvolga le istituzioni pubbliche e quelle private, con l’obiettivo di rompere l’isolamento e fare in modo che questa terra sia sempre più la meta turistica prescelta da giovani e anziani e il luogo per investire, soprattutto in innovazione, cultura, turismo e agricoltura. Le condizioni ci sono, occorre semplicemente un grande lavoro e una grade collaborazione fra tutti i responsabili della “cosa pubblica”.
* Avvocato e docente di diritto privato Università Cattolica del Sacro Cuore.