-Simone Tatti*-
Erano gli anni che di lì a poco avrebbero visto nascere il Regno d’Italia, e la Sardegna, passata dagli aragonesi agli asburgici prima e ai Savoia poi, veniva ancora una volta saccheggiata delle sue risorse più preziose senza ricevere niente in cambio. In questa occasione, migliaia di ettari di patrimonio boschivo del Gennargentu furono distrutti per ottenere il legname da destinare alla costruzione della rete ferroviaria piemontese che, in pochi anni, avrebbe collegato Torino con le più grandi città d’Europa senza che, tuttavia, fosse realizzato nell’isola un solo chilometro di strada ferrata ad uso civile. L’ennesimo smacco al popolo sardo.
Da allora sono passati quasi due secoli e, per certi versi, il problema della viabilità conserva le stesse ed inequivocabili mancanze che connotavano la Sardegna di un tempo.
Attualmente la Sardegna consta di 430 km di linee ferroviarie di cui solo 50 equipaggiati con doppio binario, il che vuol dire che per percorrere l’isola da nord a sud il convoglio sul quale si viaggia dovrà con buona probabilità effettuare almeno una sosta in una stazione di scambio per consentire al treno derivante dalla direzione opposta di poter proseguire la propria corsa. E mentre per percorrere i quasi 600 km che separano Milano da Roma, si hanno bisogno di appena tre ore, i sardi impiegano lo stesso tempo per percorrere i circa 200 km che dividono Cagliari e Sassari.
L’unica alternativa valida al trasporto su rotaia è costituita dalla Strada Statale 131, alias Carlo Felice: duecentoventinove chilometri di manto stradale a due corsie per senso di marcia intervallati da restringimenti ed incroci a raso da percorrere a non più di 110 km all’ora.Opzione tutto sommato interessante, se non fosse per le frequenti interruzioni e annesse deviazioni dovute ai cantieri stradali che rendono il tragitto oltremodo scomodo e difficoltoso. E mentre la Regione, l’Anas e le ditte appaltatrici si rimpallano le responsabilità in merito ad una corretta e tempestiva esecuzione dei lavori, la Sardegna convive ormai da tempo con questa situazione di semiparalisi infrastrutturale.
Se dal punto di vista interno la situazione non è certo delle migliori, anche dal punto di vista esterno si palesano una serie di criticità che ne acuiscono il deficit territoriale e al contempo competitivo. Anziché sfruttare la posizione logisticamente favorevole della Sardegna, quale punto di snodo per i traffici commerciali nel Mediterraneo, veniamo, di fatto, considerati come la periferia dell’Europa, convivendo con una serie di problematiche che ci condannano ad un’ineconomicità sistematica. Autostrade del mare solo virtuali, costi di trasporto troppo elevati, collegamenti esterni insufficienti e interni lontani anni luce dai minimi criteri di modernità, sono solo alcune delle problematiche affrontate con leggerezza a mai risolte da Stato e Regione. Una condizione che disincentiva l’afflusso di persone e capitali e che, se non fosse per l’avvento delle compagnie low cost, ci avrebbe visto come prigionieri nella nostra stessa isola.
*FocuSardegna