Siamo alla vigilia della beatificazione della Venerabile Maria Cristina di Savoia (1812 – 1836), regina delle due Sicilie. Già il titolo è sufficiente, forse, a farci considerare lontana la sua figura. Ma nessun santo è tanto lontano da non poter parlare ad epoche distanti dalla sua. Il santo parla sempre del Vangelo. Non dice altre parole che quelle del Vangelo. Sbaglierebbe di grosso chi considerasse questa beatificazione come evento da leggere in chiave politica.
E tuttavia Maria Cristina, come altre splendide figure, ci consente di comprendere che non sempre le pagine della storia risultano aspre come gli animi di coloro che le hanno spesso deformate con lucida intenzione. Qualunque cosa si voglia pensare del vituperato regno delle Due Sicilie, oscurantista come tutto ciò che precede l’unità nazionale, resta il fatto che ha saputo accogliere e generare Santi, come del resto quell’Europa cristiana condotta ad inchinarsi alla Ragione a suon di lame e di cannoni.
Qui non ci interessa una lettura politica. Nessun revisionismo da questo punto di vista, ma soltanto una revisione della nostra coerenza di cattolici, che è poi l’ammissione di essere stati condotti su altre vie rispetto a quella sola che dovremmo percorrere, pur nel mutare delle circostanze e degli ambiti della nostra testimonianza. In fondo, ogni santo, ormai vivo nell’oggi perenne di Dio, ci raggiunge dal passato per interpellarci sul presente. E non è detto che il nostro tempo sia più cristiano o più civile di quello che fu.
Maria Cristina, figlia del re Vittorio Emanuele I e di Maria Teresa d’Asburgo, era probabilmente destinata ad un matrimonio regale o comunque di alto rango. Non bisogna dimenticare, infatti, che ella nacque in un momento non del tutto propizio per la corona di Sardegna. Vide la luce proprio a Cagliari, dove la famiglia si trovava a motivo dell’occupazione del Piemonte da parte delle truppe napoleoniche. Una figlia dell’esilio, dunque, ma anche una profuga ante litteram, visto che dovette vivere tra la l’isola natale, Nizza, Moncalieri, Genova e Torino, con la sola eccezione felice di un soggiorno a Roma per il giubileo del 1825. Si può pensare che la condizione interiore del profugo sia amara quanto quella esteriore, perché non sono certamente gli agi a renderla meno dura da accettare. Tanto più quando si possiede un’indole delicata e si è ricevuta una determinata formazione. Solo che suoi genitori si erano preoccupati di formare una cristiana piuttosto che una regina, e questo risultò determinante anche nell’accettazione dell’ esilio permanente cui fu sottoposta per gli eventi. E quando parliamo di formazione, non intendiamo riferirci ad un cristianesimo di facciata, al quale con facilità si collegano le famiglie reali non raggiunte dal soffio liberatore del Lumi. Maria Cristina respirò la fede cattolica, non un suo surrogato, e la espresse nella vita di pietà. Una volta i santi non si formavano attraverso dotte conferenze e presidii pastorali, ma soltanto per mezzo delle pratiche di vita cristiana. Ai loro occhi era evidente, per speciale dono di Dio, quanto il Papa ha ricordato all’inizio di questo nuovo anno: ” la forza della Chiesa non abita in se stessa e nella sua capacità organizzativa, ma si nasconde nelle acque profonde di Dio”. Questa giovane donna fu innanzitutto un’anima che scelse di immergersi nelle acque profonde di Dio, nonostante i rischi che la sua condizione comportava in ordine alle frequentazioni, allo studio, alla vita mondana. Ella scelse di obbedire a Dio, sempre e prima di ogni altra cosa, fosse pure quella derivante dai suoi obblighi. Per questo, e soltanto per questo, accettò il consiglio del suo direttore spirituale e abbandonò l’idea di ritirarsi dal mondo. Non le interessavano le ragioni di Stato. Le premeva soltanto di obbedire a Dio. Potrà scrivere in seguito: “Ancora non capisco come io abbia potuto finire, col mio carattere, per cambiare parere e dire di sì; la cosa non si spiega altrimenti che col riconoscervi proprio la volontà di Dio, a cui niente è impossibile”.
Era una donna libera dentro. Tanto libera da poter guardare gli eventi con lo sguardo stesso di Dio, ricercando la sua volontà. E porterà questa libertà nella sua breve esperienza di regno. Nessun compromesso, neppure con colui che sarà suo marito. Un’esperienza ben diversa da quella di molti governanti di oggi. Se è difficile stabilire un rapporto tra quelle monarchie e le moderne forme parlamentari, nondimeno è identico il bene comune da perseguire e, soprattutto, è identico il vangelo. Non c’era ancora una dottrina sociale, così come oggi la concepiamo, ma c’era la dottrina. E c’era una coscienza cristiana, alla quale bastano la grazia dei sacramenti e il catechismo. C’erano l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Non c’erano i cattolici adulti, questo è vero. Ci si fidava della Chiesa e del suo Magistero, senza tanti grilli per la testa. Si prendeva alla lettera, insomma, quel che è detto negli Atti degli Apostoli: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” (At 5,29).
Perché nessuno pensi che i tempi siano davvero cambiati, citiamo non un papa dei tempi di Maria Cristina, bensì Benedetto XVI, che commentava in questo modo il passo degli Atti:
“L’obbedienza a Dio ha il primato. Qui è importante sottolineare che si tratta di obbedienza e che è proprio l’obbedienza che dà libertà. Il tempo moderno ha parlato della liberazione dell’uomo, della sua piena autonomia, quindi anche della liberazione dall’obbedienza a Dio. L’obbedienza non dovrebbe più esserci, l’uomo è libero, è autonomo: nient’altro. Ma questa autonomia è una menzogna: è una menzogna ontologica, perché l’uomo non esiste da se stesso e per se stesso, ed è anche una menzogna politica e pratica, perché la collaborazione, la condivisione della libertà è necessaria. E se Dio non esiste, se Dio non è un’istanza accessibile all’uomo, rimane come suprema istanza solo il consenso della maggioranza. Di conseguenza, il consenso della maggioranza diventa l’ultima parola alla quale dobbiamo obbedire. E questo consenso – lo sappiamo dalla storia del secolo scorso – può essere anche un “consenso nel male” (15 aprile 2010). Le conseguenze per la testimonianza nella sfera politica sono chiaramente percepibili.
Maria Cristina fu regina, e non per modo di dire. Non si accontentò, infatti, di sposare Ferdinando II, re delle Due Sicilie, e di apparire al suo fianco in un ruolo defilato. Per quanto esclusa da atti diretti di governo, mediante la sua fede e la sua amabilità ella seppe produrre frutti di autentica grazia nell’anima del marito e nell’ambiente della corte. Il postulatore della causa, p. Gianni Califano, ha parlato di una famiglia guarita dalla tenerezza. Nulla di più attuale quanto il ricorso umile e perseverante alla docilità e alla tenerezza nelle nostre famiglie. Bisogna riportare almeno una parte che p. Califano dedica alla vita di fede della giovane regina: ” Non si limitò a un’azione spirituale, ma iniziò a correggere amorevolmente e con fermezza le situazioni di disordine che con gli anni avevano preso il sopravvento a corte. In particolare intervenne affinché la condotta godereccia e libertina di alcuni cavalieri che frequentavano il re fosse messa al bando, come pure un certo parlare volgare “da soldati”. Libero da tali condizionamenti negativi Ferdinando divenne più efficacemente incline a condividere il virtuoso tenore di vita della sposa. La preghiera tornò a prendere un posto di rilievo nel ritmo della giornata dei sovrani. Ogni sera, quando erano al Palazzo Reale di Napoli, insieme partecipavano alla benedizione del SS. Sacramento nella Cappella pubblica, spesso recitavano il santo rosario nell’oratorio privato, ricevevano la Comunione eucaristica ogni quindici giorni e, nel tempo stabilito, partecipavano agli esercizi spirituali. Anche gli altri membri della famiglia reale e della corte si associavano agli atti di pietà. Si iniziarono ad osservare i digiuni prescritti del venerdì e della Quaresima, sovente tralasciati, e a consumare cibi con maggior sobrietà per emulare la giovane sovrana che si onorava di “fare vigilia” in onore della Vergine. La devozione degli sposi aveva spesso come meta le belle chiese di Napoli. Non era raro il caso che la regina ed il marito, opportunamente coperti da mantello e cappello per non essere riconosciuti, frequentassero nelle ore serali la chiesa del Gesù Vecchio, per deporre la loro preghiera ai piedi della miracolosa immagine dell’Immacolata, lì venerata, e per avvalersi del consiglio di Don Placido Baccher, virtuoso Rettore di quel santuario. Un ambito particolarmente significativo dell’azione virtuosa di Maria Cristina fu il suo modo di sostenere il re nel suo compito di Governo, attraverso una costante preghiera di intercessione. Ogni volta che Ferdinando doveva presiedere il Consiglio di Stato riceveva dalla sposa un segno di benedizione, dopo aver recitato insieme tre Ave Maria e l’invocazione allo Spirito Santo. Poi Maria Cristina si tratteneva in preghiera nell’oratorio privato, fintantoché durava la seduta. Quante sagge e prudenti decisioni furono favorite da questa ispirazione di fede non è dato sapere. Certamente il rito intimo e devoto dell’imposizione delle mani in forma di croce della moglie sul marito, riferito in maniera commossa e dettagliata da vari testimoni al processo, fu una delle espressioni esterne più originali di quanto la grazia sacramentale del matrimonio andasse maturando nei due sposi” (Gianni Califano, Maria Cristina di Savoia. Regina delle Due Sicilie, Velar, Gorle 2013).
Maria Cristina si immergeva veramente nelle acque profonde di Dio perchè fosse concessa la sapienza negli atti di governo. Ma la sua opera di mediazione non si limitava soltanto a questo. I sudditi sapevano di potersi rivolgere a lei per sperare nel favore del re. Se ne avvantaggiarono le numerose opere di carità, ma ne fecero esperienza in modo particolare ed indelebile quanti, secondo le leggi del tempo, erano destinati al patibolo per i reati commessi o per semplice ammonizione. Fu così dolce e costante la sua persuasione, che nessuno venne giustiziato. Nessuno al patibolo, per amore di Dio e per ottenere la sua misericordia. Bell’esempio di fronte ai patiboli odierni del compromesso con il mondo e con le sue logiche di male. Forse il relativismo morale non ci appare distruttivo per la mancanza di fede, o per la separazione della fede dalla vita, oppure per l’idea errata che la laicità dello Stato vada sempre rispettata. Davanti alla disgregazione della famiglia dovremmo pensare seriamente alle nostre responsabilità. Che non ci tocchi di dover accompagnare al patibolo uomini privati della coscienza col pretesto di una coscienza finalmente libera ed autonoma.
Maria Cristina fu attenta anche alle condizioni dei lavoratori e delle donne: “L’opera più grande legata al suo nome fu la «Colonia di San Leucio», con una legislazione ed uno statuto propri, dove le famiglie avevano casa, lavoro, una chiesa ed una scuola obbligatoria. L’attività produttiva era basata sulla lavorazione della seta che veniva esportata in tutta Europa” (C. Siccardi). Chi volesse approfondire la vita e la spiritualità della novella Beata, può fare ricorso alla bella biografia scritta da Mario Fadda e Ilaria Muggianu Scano (Maria Cristina di Savoia. Figlia del regno di Sardegna, regina delle due Sicilie, Arkadia, 2012). Qui abbiamo tentato di dire quanto basta per evitare, come possiamo, che questa beatificazione passi soltanto come qualcosa per nostalgici o, peggio, come qualcosa di inattuale. Non c’è carità più grande che l’obbedire alla volontà di Dio e di saper vedere alla sua luce il prossimo. Un mondo senza Dio diventa un mondo di poveri. E non avrebbe alcun senso sfamare chi ha bisogno di cibo e creare nel contempo nuovi e diversi poveri, profughi di senso e di felicità.
Don Antonio Ucciardo.
Da: www.crocereale.it (accesso 13-1-2014).
Dossier con testi, immagini, commenti, studi in:
http://www.assisiofm.it/maria-cristina-di-savoia-3607-1.html
http://regio18.blogspot.it/2014/01/quando-gli-statisti-erano-santi.html
http://unacasasullaroccia.wordpress.com/2014/01/12/modello-di-discernimento-vocazionale/