Esistono luoghi la cui bellezza può resistere a tutto, anche ai più tenaci tentativi di farne un paradiso turistico. Basti pensare a Stintino. Nei tramonti estivi senza vento, quando il silenzio sembra esaltare il profilo aspro della vicina Asinara sul mare piatto, gli aironi cinerini prendono casa nello stagno di Casereccio, di fronte al chilometrico biancore della spiaggia della Pelosa.
Prima Tappa: da Stintino a Bosa
Conosciamo tutti la storia del paese, sorto per dare casa e lavoro ai contadini cacciati dall’Asinara, quando la loro isola venne scelta per edificarvi un lazzaretto. Era la fine dell’Ottocento e relegare qui i contagiati dal colera parve una soluzione efficace. Poi venne piazzato il famoso carcere, e, quando il colera sparì, i carcerati restarono e il luogo sembrò tanto adatto che l’Asinara fu destinata, fino al 1998, a quell’unica funzione. E Stintino è destinata a crescere ancora. La sua resistenza ai maltrattamenti umani non tranquillizza ma allarma: quante casette a schiera, quanti villaggi con piscine, potrà sopportare prima che si dica basta?
Per ora, Stintino resiste. Come i suoi palmeti di palme nane che il maestrale non riesce a bruciare, come le trasparenze del mare lavato da provvidenziali correnti, come i trampolieri dello stagno.
Non è facile vincere tanta bellezza.
Altri punti belli nelle vicinanze, meno rinomate della Pelosa e della Pelosetta ma quasi altrettanto belle e facili da raggiungere, sono le spiagge delle Saline e Punta d’Elice. Merita una deviazione la caletta di Punta di Coscia di Donna. L’Asinara, gioiello un tempo off limits, è oggi Parco Nazionale dove prosperano cinghiali, mufloni e il caratteristico asinello bianco.
Nel luogo chiamato Capo Caccia ci sono bellezza e paura. Per trovarlo, basta uscire da Alghero, sulla strada statale verso est. Passata la spiaggia delle Bombarde, ecco le casette rosa di Fertilia. Fin qui la costa è serena, popolata, ma più oltre la macchia si fa selvaggia, le case si diradano. Passato il Nuraghe di Palmavera, è una sfilata di rocce bianche, strapiombi neri, risacche azzurre. La strada si spegne in una piazzetta con una torre seicentesca e un faro di fronte a Punta Giglio. Tornando indietro si costeggia lo specchio di Porto Conte e finalmente si sale sino a Capo Caccia.
È uno spettacolo di bellezza e paura, appunto.
Il Capo è un trono calcareo piantato davanti al mare, pieno di orridi e grotte, con pareti a picco che precipitano anche per 270 metri. Ma dir mare è dir poco: da queste parti il Tirreno è quanto di più blu si possa immaginare.
Davanti, due isole: la Piana e la verticale Foradada, così detta per le sue caverne. Qui il vento mozzerà il fiato e le grida dei falchi assorderanno. Dall’alto di Capo Caccia, si scende, fino alle grotte di Nettuno. In realtà sono tante grotte, con un lago salato interno e incredibili ricami di luce. Cinquant’anni fa, qui c’era la foca monaca. Adesso non c’è più, proprio come le nymphae che davano il nome al luogo. In fondo sulla costa c’è un villaggio fantasma: è l’Argentiera, dove già i Romani scavavano il piombo argentifero. La miniera esisteva sino a sessanta anni fa, ora c’è solo il silenzio. Altro punto caratteristico della zona è il tratto costiero che va da Fertilia a Punta Giglio che, essendo frastagliato e roccioso, è uno spettacolare susseguirsi di baie e calette che si conquistano seguendo sentieri sterrati. C’è la spiaggia di Lazzaretto, protetta da una possente torre del XVII secolo. Più a nord, verso Capo dell’Argentiera, s’incontra Porto Ferro, la spiaggia più “californiana” della Sardegna, ritrovo prediletto dei surfisti: qui infatti soffiano il maestrale e il vento di Ponente, creando onde lunghe ed ideali per le acrobazie delle tavole. A una decina di chilometri da Alghero, merita una visita la Necropoli di Anghelu Ruju, la più importante “domus de janas” della regione.
I grifoni, gli avvoltoi: alti nel cielo, grandi, scuri come presagi, volteggiano lentissimi o paiono addirittura a bordo delle nuvole, e non si possono confondere con nessun altro uccello poiché non battono mai le ali, ampie persino tre metri. O almeno così sembra, ma non è data alcuna certezza, perché a loro non ci si può avvicinare: fuggono alla prima ombra. Tutto questo si scopre se, al mattino molto presto, si percorrono i 45 chilometri della strada costiera che da Alghero conduce a Bosa Marina, che, nel tratto di Capo Marargiu, prende appunto il nome di Costa dei Grifoni.
La zona è stata scelta davvero bene: selvaggia come in pochi altri angoli della Sardegna. Piena di coste a picco, irta di lentischi ed euforbie, popolata di poiane e corvi imperiali, battuta da venti che, in ogni stagione, soffiano dal mare. La costiera sale a tornanti fino a 150 metri d’altezza. Offre squarci improvvisi, pareti da vertigine erose “a gradini” verso il mare e sentieri quasi impraticabili che portano a calette deserte. Molto più accessibile è il tratto di costa tra Capo Marargiu e Bosa Marina: qui basta aver voglia di camminare un po’ fra gli olivi e la macchia per raggiungere piccole spiagge e insenature da sogno. Si può anche scegliere una strada alternativa nell’entroterra, che tocca i paesi di Contrasta, Villanova Monteleone. Alla fine si sbocca sempre su un balcone naturale che mozza il fiato: i tornanti di Scala Piccada, che dominano tutta la costa fino a Capo Caccia. Ma lì, già comincia il dominio dell’uomo e finisce quello dei grifoni. Da incanto, le incontaminate calette di S’Abba Drucche, Cumpoltittu, Torre Argentina, Tentizzus, Manago e De Sas Bagassas sono accessibili con sentieri di dieci, quindici minuti di cammino. La più scenografica è forse quella di Cumpoltittu, una piccola semiluna di sabbia circondata dalle rocce. Piacevole è anche la visita alla scoperta di paesaggi delle “domus de janas” nell’entroterra di Bosa, oltre alla caratteristica Bosa stessa. Qui fa tappa anche il Trenino Verde che giunge sino a Macomer, attraversando l’altopiano del Marghine e le stazioni di Sidra, Tinnura e Tresnuraghes.
Seconda Tappa: dal Sinis a Domus de Maria
Cambiando zona, bisogna fare come la “genti arrubia”, il popolo rosso. Così i sardi chiamano i fenicotteri, per scoprire davvero il Sinis, penisola stregata. Arrivarvi a maggio o settembre, quando non c’è il turismo di massa, e poi vagabondare da una spiaggia a un tempio, a un dirupo, senza mete precise: ogni giorno avrà il suo tesoro. Ma anche nel caldo ferragostano, il Sinis non delude: non per nulla è ancora oggi l’unico vero deserto d’Italia. Si va da Oristano a Cabras, poi si punta verso ovest.
E sarà subito Sinis: trenta chilometri di costa, altri quaranta di entroterra, una minuscola Arizona sul mare, una Camargue sarda che racchiude mondi diversi.
Il mondo delle civiltà sepolte: non solo Tharros, ma anche sulla strada che da Riola Sardo va a San Giovanni di Sinis e fino all’estremo della penisola. La Chiesa di San Giovanni, arcate misteriose che risalgono al 400 dopo Cristo, il più antico monumento cristiano in Sardegna. Il mondo dei pescatori, poche centinaia di persone e un mestiere che, con i suoi rituali ereditati dall’Alto Medioevo, è una religione. Negli stagni di Cabras, Sale Porcus (riserva del WWF con diecimila fenicotteri in primavera), le Benas, sopravvive nel silenzio questa cultura testimoniata dai “fassonis”, le barche di giunchi essiccati che addirittura vengono dalla preistoria; dalle capanne di canne e giunchi sulle spiagge; dalle processioni a piedi scalzi con le statue dei santi. Ma anche dalla gastronomia: bottarga (uova di muggine), anguille allo spiedo e muggini pescati a Marceddì, borgo marino della mia Terralba. Il mondo della natura: le gru, l’oasi WWF di Torre Seu con le sue palme nane, le rocce selvagge di Capo Mannu, le dune, la spiaggia di Is Arutas con i suoi quarzi bianchi. È d’obbligo vagabondare e lasciarsi stregare proprio come i fenicotteri che infatti, nel Sinis, ritornano sempre. I punti più belli, oltre alla decantata spiaggia di riso di Is Arutas, affacciata sul mare cristallino, proseguendo verso nord, sono gli arenili di Porto Suedda e di Is Arenas, protetta da una grande pineta. Merita una deviazione la solitaria caletta rocciosa di Su Rio de Saide, a pochi minuti a piedi da Santa Caterina di Pittinuri. Fantastica è l’Isola del Mal di Ventre, che si raggiunge in barca da Cabras e da Putzu Idu: ha bellissimi fondali, che sono ricchi di molluschi, pesci e crostacei.
Torre dei Corsari non è un nome scelto a caso. Esiste da qualche secolo, e ricorda proprio loro. Quelli che a volte neppure gettavano l’ancora. Quelli che nel cuore della notte lanciavano le loro tartane e venivano a riva irti di scimitarre. “Corsari” li chiamavano, anche se in realtà erano marinai e soldati regolari di Algeri e Tunisi. Facevano i filibustieri: incendi, razzie, catture di uomini e ragazzi come schiavi. Così per seicento o settecento anni. Adesso, di loro, restano le torri che dovevano servire ad avvistarli in tempo.
E il nome, appunto, come su questo tratto di costa occidentale, a sud del golfo di Oristano. Era, fino a 15 anni fa, un paradiso marino e terrestre. Oggi, non è che una splendida oasi sempre più fragile, sempre più assediata dal cemento. Bisogna vederla, finché c’è tempo. Torre dei Corsari e Pistis sono un pezzetto d’Australia o di Sahara latino. Una stupenda sinfonia di dune che si accavallano sempre più alte, anche decine di metri, e tumultuano per chilometri verso il mare. O sui fiori viola, scarlatti e blu che a primavera cavalcano qui e là quelle stesse dune. C’è il profilo solenne di Capo Frasca, con le sue rocce vertiginose salvate dalla presenza di una base NATO, che lo ha trasformato in zona militare: il suo mare è di un blu così profondo da sembrare nero, ma squarciato continuamente dalle schiume bianche delle tempeste che vengono dalla Spagna. A Torre dei Corsari si affianca Porto Palma, con le romantiche memorie di una tonnara genovese. Ma soprattutto, da Torre, si giunge ai nove incredibili chilometri della spiaggia di Piscinas: ancora dune, dune alte e chiarissime, dune africane solcate dai brividi del maestrale. I profumi di ginepri e lentischi prendono alla gola. Il vento ubriaca. La pace (se non è agosto) è infinita. I corsari sapevano dove sbarcare. Tornando a parlare di Piscinas, lo si considera un microcosmo straordinario da conquistare in auto con qualche chilometro di sterrato e il guado di un torrente. In cambio, sabbia fine a perdita d’occhio e un mare azzurro vivissimo. Qui, come in tutta la Costa Verde, le forti correnti rendono le acque e i fondali piuttosto insidiosi. Belle anche le spiagge di Is Arenas, Punta S’Aschivoni e Flumentorgiu. Per chi non vuole vedere solo il mare, ci sono le miniere di Montevecchio, nell’entroterra di Piscinas, sono affascinanti per le belle strutture in via di recupero. Si organizzano in loco escursioni a carattere archeologico e naturalistico: infatti, tra i boschi di querce e lecci e nella macchia inondata di ginestre, ciclamini e orchidee selvagge, vivono in libertà oltre 500 cervi sardi, facili da avvistare.
Cinquecento milioni di anni fa, quando le Alpi non erano ancora emerse, i massicci dell’Iglesiente si ergevano sul mare, rinserrando le zolle più antiche del nostro paese. Terra su cui, poi, approdarono le culture fenicie, cartaginesi, romane, puniche, pisane, aragonesi e sabaude. Oggi, è impossibile parlare di questa zona della Sardegna senza citare gli ultimi due secoli di lotta contro la roccia. L’anima attuale di questa aspra e meravigliosa regione si è plasmata sull’estrazione mineraria, come testimoniano i borghi di Nebida, Masua e Buggerru. Il sottosuolo è stato generoso solo con pochi, e, ora che l’inarrestabile recessione si è compiuta, i sulcitani appaiono diffidenti anche verso il nuovo filone del turismo. Per chi vuol ritrovare il fascino selvaggio della Sardegna, questi luoghi sono musica: anche in piena estate non si assiste mai all’assalto turistico che caratterizza le coste più note dell’isola. La maggioranza dei vacanzieri che frequenta l’incantevole Cala Domestica (a detta di molti una delle più belle dell’intera isola) si ristora sotto i plurisecolari pini domestici delle maestose dune di San Nicolò, vicino alla spiaggia di Portixeddu. L’Iglesiente è destinato a puntare sulla costa, come nuova miniera. Buggerru ne è l’emblema: da antico porto minerario si è riconvertito in accogliente porticciolo turistico. Diverrà grande attrattiva anche l’accecante biancore calcareo del Pan di Zucchero, il faraglione vicino a Masua, che con i suoi 133 metri che si ergono imperiosi dall’acqua cristallina. Altri luoghi di richiamo, sono Capo Pecora, Masua, Plag’’e Mesu-Funtanamara. Oppure, lontano dal mare, la foresta di Marganai-Oridda, la miniera di Monteponi. Merita attenzione anche la laguna di Bau Cerbus, vicino a Porto Scuso, ove esiste un ecosistema unico: qui nidificano fenicotteri, aironi, cinerini, falchi di palude.
Il maestrale soffia violento, sfruttando una rincorsa che dalle coste della Francia non ha più trovato ostacoli. Il verde topazio dell’acqua sfuma nel turchese e quindi si fa cobalto, mentre l’aria mescola gentilmente il salmastro con i contrasti quasi culinari del rosmarino selvatico, del ginepro e del leccio che compongono la folta macchia mediterranea. Neppure un rumore, solo il vento e lo stridere dei tanti gabbiani. Una costa fantastica, un litorale che va da Pula a Capo Teulada, che lascia senza fiato. È il cuore della Costa del Sud, tanto vicina a Cagliari, con i suoi porti turistici e l’assalto del turismo da villaggio vacanze. La spiaggia di Chia, adagiata tra il mare di cristallo e le quiete degli stagni, è straordinaria. Poi le dune di Porto Pino non sfigurano certo con le più rinomate spiagge della Gallura. Anche chi cerca la solitudine sarà accontentato, se si spinge nella servitù militare di Capo Teulada. Non sarebbe possibile avvicinarsi entro il miglio marino, ma d’estate viene tollerato l’attracco nei paradisi di Cala Piombo e Cala Zafferano. Ma il Sulcis non è solo mare. Nell’entroterra c’è il Parco del Sulcis con la più estesa foresta di lecci della Sardegna. E gli scavi di Nora, la “città sommersa” fenicia, che con maschere e pinne si visita anche nella parte ancora sott’acqua. Altri punti memorabili della zona, Porto Pinetto e Caletta dei Francesi, ove lo spettacolo delle dune è più godibile. A Cala Zafferano, la spiaggetta è di finissima sabbia bianca. Unico inconveniente, si raggiunge solo dal mare. Da vedere Porto Tramatzu, ove la sabbia è candida e il mare azzurro intenso, Tueredda, Porto Campana e Su Giudeu. A Santa Margherita di Pula la spiaggia è meravigliosamente bianca ed estesa. Per chi non vuole solo il mare, ci sono le foreste di Pixinamanna e quella di Is Cannoneris, raggiungibile da Domus de Maria: fanno parte del Parco Regionale del Sulcis. Come detto prima, è indispensabile visitare l’area archeologica di Nora.
Terza Tappa: da Capo Sant'Elia al golfo di Orosei
Tra Capo Sant’Elia e il golfo di Carbonara, la costa ci regala paesaggi da sogno e località come Torre Cala Regina, dove c’è una bella spiaggetta protetta da un boschetto di eucalyptus e Torre su Fenugu. Ma il posto più conosciuto della zona, nel bene e nel male, è Villasimius, che si raggiunge da Capo Carbonara. Fino all’inizio degli anni Sessanta, non era che un villaggio di pastori e pescatori: un borgo dal sapore antico, affacciato su una teoria di spiagge coloratissime, benedetto da acque cristalline e protetto da scogliere ricche di macchia mediterranea. Il boom e la metamorfosi, grazie all’avvento del turismo negli anni Settanta. Improvvisamente Villasimius è diventata una destinazione tra le più rinomate e frequentate dell’isola. Superata Cala Sinzias, sempre in direzione nord, ecco un altro approdo celeberrimo: è Costa Rei, otto chilometri di spiaggia sabbiosa che ospitano l’omonimo insediamento turistico, uno dei più importanti della Sardegna. Proseguendo in su, il paesaggio muta ancora, creandosi cale e calette distese, di una costa accompagnata da una serie di stagni salati. Salinas, Colostri, Feraxi e San Giovanni sono i più estesi e noti, collegati al mare da canali pescosissimi e salatissimi che scorrono perpendicolarmente al litorale.
Consigliabile il cammino a piedi, seguendo le sponde dei canali, nel mezzo del regno degli aironi e garzelle, cormorani e fenicotteri rosa, avocette, cavalieri d’Italia e tuffetti, tutte specie stanziali. Infine più a sud, ecco il Monte Ferru, antichissima miniera a cielo aperto. Il suo sbocco al mare è proprio Capo Ferrato: sulle scogliere si possono ammirare alcuni esemplari del falco della regina che, pur essendo originario del Madagascar, non disdegna di nidificare da queste parti. Da visitare, sicuramente, una decina di chilometri sotto Muravera, s’incontrano le Cale di Feraxi, romantiche e praticamente sconosciute, una serie di piccole spiagge raccolte e difese da esili promontori rocciosi. Vicino a Muravera si trova invece la più attrezzata spiaggia di San Giovanni, nelle cui vicinanze sorge la Torre dei Dieci Cavalli, costruita nel XVI secolo per difendersi dalle incursioni saracene. Risaltano le isole della zona: dal promontorio di Capo Carbonara si può avvistare l’Isola dei Cavoli. Poche miglia a ovest di Villasimius, invece, si staglia l’Isola di Serpentari, compresa nel Parco Geomarino, paradiso dei conigli selvatici. Le isole si possono raggiungere solo con imbarcazioni. Nel settore “non solo mare”, una decina di chilometri nell’entroterra di Villasimius, merita una deviazione la Foresta di Minniminni: qui non è difficile avvistare cervi, mufloni, cinghiali e martore.
E si arriva al golfo di Orosei che significa, insieme, grotta del Bue Marino, Cala Gonone, Cala Luna, riserva naturale della foca monaca. Insomma, uno degli angoli più caratteristici della Sardegna centrorientale. Si giunge in zona, attraverso l’Ogliastra, la terra degli ulivi. Nel territorio di Santa Maria Navarrese, un villaggio del mare poco a nord di Tortolì, se ne sono conservati alcuni esemplari di proporzioni incredibili (uno è alto addirittura una quindicina di metri): a detta degli esperti dovrebbero avere alcune migliaia di anni, come dire tra i più antichi d’Europa. La difesa, a nord e a ovest, è costituita dai monti della Barbagia, che salgono rapidi dal livello del mare oltre i mille metri. La costa dell’Ogliastra ha conservato intatta la sua magia. Le spiagge incontaminate, che corrono dalla Marina di Gairo fino a Capo di Monte Santo, si accompagnano alla macchia mediterranea e ai pini e alle tamerici. Da ammirare le sanguigne scogliere di porfido rosso di Arbatax su cui volteggiano poiane, gheppi, corvi imperiali e guizzanti falchi pellegrini. Subito dopo si spalanca il golfo di Orosei, quaranta chilometri di costa formata da bastioni e falesie calcaree aspre e selvagge, appena interrotte da una teoria di calette.
Nel corso dei millenni, il mare ha giocato con le rocce costringendole ad aprirsi in grotte e cavità spesso inaccessibili, insenature misteriose che lasciano immaginare valli.
Al centro del golfo c’è il porticciolo di Cala Gonone: da qui ci si imbarca per la Grotta del Bue Marino, appena prima di giungere a Cala Luna. Ma il golfo di Orosei è, soprattutto, il regno della foca monaca, di cui esistono solo rarissimi esemplari. Per difenderli si è addirittura creata una riserva naturale: ammirare il timido animale nelle limpide acque locali o nelle calette, però, è una fortuna riservata a pochi. Oltre a Cala Luna, secondo alcuni la più bella spiaggia del Mediterraneo, raggiungibile via mare da Cala Gonone, questo tratto di costa offre altri gioielli. A cominciare dalla vicina Cala Fuili e da Cala Goloritzè con sabbia candida. Ma il vanto della zona è Cala Sisine, con la sua spettacolare insenatura. Oltre al mare, nel Nuorese, sorge uno dei monumenti più significativi della Sardegna: è la tomba di gigante Sa Ena ‘e Thomes, famosa per una stele ovale di granito. Poi c’è il villaggio nuragico di Serra Orrios e, a dodici chilometri da Dorgali, s’incontra la bellissima grotta di Ispinigoli, con una stalagmite di 38 metri.
Quarta Tappa: la Costa Smeralda e la Gallura
Si era pensato di chiamarla “Dorata” per lanciarla come la nuova Smeralda, ma non è andata così. Questa costa, ancora senza nome, ha però mille volti e un unico denominatore: il profilo selvaggio e magnifico di Tavolara, che, nell’incombenza verticale dei suoi seicento metri, fa da sfondo a tutto il litorale tra San Teodoro e Olbia. In questi trenta chilometri di costa, esistono tutte le tipologie di mare possibili. La spiaggia della Cinta, una lingua di sabbia che separa le turchesi trasparenze di Cala d’Ambra dai canneti dello stagno di San Teodoro. Candidi lidi sabbiosi che si fanno poco dopo duri graniti rossastri nelle suggestive asperità di Capo Coda Cavallo, faccia a faccia con l’isola Molara. C’è il passaggio dalla costa bassa della Baronia a quella accidentata della Gallura. La riviera prosegue fino agli insediamenti di Costa Dorata, Porto San Paolo, con la deliziosa Baia Corallina, che accoglie un porticciolo turistico, e Porto Istana. Qui si trova uno dei luoghi più sorprendenti della Sardegna, Capo Ceraso. Tra rocce e una fitta macchia di ulivi, lecci, lentisco, mirto, rosmarino, la sua costa selvaggia rivela panorami dalle vastità emozionanti: l’intero golfo di Olbia, compreso il golfo degli Aranci da un lato, e il complesso del Parco marino di Tavolara, Molara e Capo Coda Cavallo dall’altro. Nella parte verso nord si susseguono calette e spiagge d’incanto; a sud la scogliera si inabissa in profondità. Poi, più su, il paesaggio varia ancora; nella zona delle Vecchie Saline, ecco la sorpresa del Rio Padrongianu: una ricca zona di avifauna lacustre, che si articola in un sistema di stagni frammentati in isolotti, che portano a Lido del Sole e Spiaggia Gavrile. E in fondo domina sempre l’Isola di Tavolara, fatta di impressionanti falesie, scarpate, grotte, archi di roccia. Circumnavigando si può ammirare tutto il suo misterioso e sinistro splendore.
Costa Smeralda: forse è questa la Sardegna “che non assomiglia a nessun luogo”. Una Sardegna ribelle, primordiale, inviolata, selvaggia ancora oggi, ma pure tanto addomesticata. È la doppia natura della Costa Smeralda, il massimo dell’autenticità che convive con il massimo della finzione. È autentica per quei graniti che non mentono, irriducibili nelle loro verticalità.
Autentica per lo splendore di questa costa che si sfrangia in mille cale, promontori, faraglioni, isolotti che si polverizzano in mille spiagge dagli incanti tropicali eppure sprofondate in una macchia profumatissima. Autentica per quelle acque smeraldine, trasparenti in virtù del granito, che fa di questo mare un cristallo. È finta per essere, invece, il frutto di una precisa operazione commerciale e speculazione immobiliare. La Costa Smeralda nasce agli inizi degli anni Sessanta, quando un team internazionale ne studia il nome, ne inventa l’architettura, ne ripensa il paesaggio, in previsione dell’arrivo di yacht ed elicotteri, con hotel esclusivi, con campi da golf e ville da sogno. Per Karim Aga Khan IV, questo lembo di costa tra Cala Liscia di Vacca e il golfo di Cugnana doveva diventare un rifugio per il jet set internazionale. E così è stato. Capitale di questo impero è Porto Cervo: in estate, per due mesi e poco più, apre per ferie, e la sua piazzetta diventa il palcoscenico del gossip mondano. Comunque luoghi da vedere, esistono: spettacolare è la spiaggetta di Poltu di Li Cogghji presso il Piccolo Ramazzino, nota come spiaggia del Principe. Splendida è anche la spiaggia di Liscia Ruja: sabbia di velluto, acque turchesi, vegetazione selvaggia senza l’ombra di cemento. Poi c’è Cala di Volpe, con piccole dune che arrivano sino alla spiaggia del Piccolo Pevero. Da visitare, se possibile, gli isolotti vicino alla costa, dalle Bisce a Mortorio, da Soffi ai Nibbani che fanno parte del Parco Nazionale della Maddalena. Da non mancare è Caprera, residenza di Giuseppe Garibaldi.
Il volto costiero della Gallura è virile ed enigmatico. Virile come il granito di cui è fatto. Enigmatico come le forme che a questo granito hanno dato il vento e il mare nel corso di milioni di anni.
Forme che popolano i promontori, le insenature e le creste rocciose da Palau a Santa Teresa di Gallura. Così è il celebre Orso, simbolo di questo tratto di costa, che giganteggia sopra Palau e l’Arcipelago della Maddalena. Dai 109 metri di Capo d’Orso, l’occhio si riempie dello splendore della costa fino a Punta Sardegna e del labirinto di isole, cale e stretti del Parco Nazionale della Maddalena, istituito nel 1996. Tanti i luoghi paradisiaci: Porto Puddu, per gli amanti del windsurf, con la spiaggia del Liscia divisa in due dall’isola dei Gabbiani; Porto Pozzo, in fondo a una profondissima insenatura; Conca Verde, dai massi granitici che anticipano quelli di Capo Testa; la Marmolata, chiusa da aridi isolotti; Porto Longonsardo, per risalire sino a Santa Teresa, con cinque chilometri di panoramica sino a Capo Testa. Poi, volendo, si può proseguire fino alle rocce rosse della Costa Paradiso. Capo Testa, è senz’altro, uno dei punti migliori. Dall’alba all’imbrunire, le ombre dei graniti aggiungono un’aria misteriosa al tutto. Questi blocchi di granito costruiscono architetture irreali, passaggi arditi, sculture moderne e tutto ciò che la fantasia vuole leggervi. Da vedere, per eccellenza, se si ha la possibilità di navigare (basta una minicrociera che parte da Palau), è l’isola di Budelli, altresì conosciuta come la “spiaggia rosa”, assieme alle sorelle Santa Maria e Spargi. Per chi non vive di solo mare, non lontano da Capo Testa, alle spalle della Baia di Santa Reparata, c’è il complesso nuragico della tomba di giganti Lu Brandali, che sembra sprigionare energia magnetica. Come tutta la mitica Sardegna.
Massimiliano Perlato